Meno sicurezza possiedi più ti esponi ostentando un contesto che ti faccia apparire a posto. Se arriva il fine settimana o il ponte festivo devi fare qualcosa.
“Cosa facciamo?”, “Andiamo da qualche parte?”, “Devo pubblicare dei contenuti così la gente vede che me la passo bene”.
Ma sui social network è essere vittime che paga di più. Aver subito un trauma o un torto, essere stati discriminati o abusati, aver ricevuto offese sessiste o razziali può fare di te un protagonista per 48 ore.
A me sinceramente premerebbe di più fotografarmi su una barca o una Porsche, perché la barca o l’auto è la mia e perché me la sono comprata coi soldi guadagnati scrivendo che dedicare la maggior parte della propria vita alla cultura – ossia alla comprensione di tutto – rende più di far finta di essere ricchi o piangersi addosso. E la foto, alla fine, nemmeno me la farei altrimenti passerei per uno di quei social media manager disperati in un altro modo, ossia affamati di notorietà.
Io resto sconcertato quando vedo le persone che non si rendono conto di esibire mediocrità credendo di stare mostrando chissà quale benessere.
Sei povero, si vede, Cristo santo.
Sei stupida, si capisce, Dio mio.
Sei disperato mentre fai mostra di te, della tua bravura, intellighenzia, bellezza, simpatia, etc., perché altrimenti saresti sui giornali, al cinema, al teatro oppure in tv, esclusi i casi di cani e cagne anche là, perché ci sono eccome.
Essere oggettivi è il punto massimo della sapienza umana. Non prendersela a cuore per tutto ma solo per ciò che importa davvero ti rende empatico.
Cosa ti serve, ancora, per accorgerti che sei un imbecille che attira a sé altri imbecilli e finirà per morire imbecille? Eppure abbiamo a disposizione gratis tutto ciò che è necessario sapere per scongiurare di apparire mediocri idioti e, di conseguenza, votarne altri a rappresentarci.
Esatto, è anche un discorso politico.
Sì, esistono le classi sociali, e a volte non sono per forza un male quando esprimono auto-consapevolezza.
In foto, casa graziosa, lago di Garda, una donna che aspetta il proprio motoscafo al lido di Salò e un tizio che prende il sole in un parco di Bruzzano >> Nelson Corallo
scrittura
Io sono niente
Io sono niente.
Io vivo, mi muovo, mangio, parlo, mi lavo, mi vesto, invecchio, penso e faccio scelte, ma resto niente.
Io vivo nel mio mondo, in questo tempo, in questa realtà, con tutte le contraddizioni dell’epoca in cui sono arrivato, e sono comunque niente.
Io percepisco, intuisco e mi lascio fluire, allora sono tutto. Divento tutto. Non decido, agisco e vado dove devo, quindi sono giusto.
Bisogna crearsi tanto silenzio dentro per arrivare a sentire il necessario.
Io non sono niente e sono tutto ciò che devo.
Silenzio, ritmo, forza.
Non è vero che la vita è vuota, non è vero che manca un senso, non è vero che vincono solo il materialismo e la morte, però è vero che siamo attaccati da ogni sorta di distrazione, dentro e fuori. Ed è una tentazione quasi irresistibile lasciarsi condurre dal desiderio di protagonismo e arroganza, perché è meglio della droga sentirsi importanti. Crea più assuefazione.
Ma no.
Vivo e faccio il necessario. Lo dovrebbero fare tutti. Lo faccio e arrivo a essere ciò che devo, dove devo. Il sangue pulsa più denso, l’ansia scivola altrove, il senso delle cose migliora.
Si sviluppa una voce interiore, è limpida e pulita, sa dove devo mirare e nonostante il dolore eseguo. Mi sento triste solo quando non le permetto di parlare, nei momenti in cui mi perdo appresso a quell’io che crede di essere me stesso e invece è solo il riflesso di ciò che lui crede che gli altri pensino di lui. È l’io che fa comparazioni, sente invidia, pretende, distrugge, desidera il male di chi non sopporta, di chi è imbecille, di chi è narcisista (perché anche lui lo è), di chi ottiene successo grazie ai mediocri e alla mediocrità dell’ambito in cui l’ottiene, è un io a cui ho dato un nome, la maschera che indosso nel mondo quando il mondo mi delude: è Nelson Corallo, buon anno figli di putt*na.
Volontà di conoscenza
Crescendo si tende a farsi meno promesse, la forza di volontà che è tipica degli esseri umani gradatamente si stempera fino a ridursi a piccole speranze, grandi accettazioni, rassegnazione sulla vita e sul mondo, lasciando giusto un po’ di spazio per se stessi e la propria anima. Invecchiare è sinonimo di diplomazia, tranne nei vecchi bastardi.
Ormoni e vitalità fanno la differenza.
Diventando anziano mi avvicino, al contempo, ad uno stato animale e spirituale dell’essere. Tutto si riduce ad assecondare le possibilità che la vita offre, senza rabbia né caparbietà in eccesso. Dicevo che mi faccio meno promesse, meno propositi, meno pretese etc etc. Scendo sempre più in me, nel mio universo, scruto mondi poco frequentati dove vigono altre regole ed esiste più libertà di restare o andarsene.
La forza di volontà che interviene sul mondo e lo piega è affascinante. È uno dei desideri più grandi degli uomini. La volontà di potenza però non è eterna ma solo biologica, allora non si può elevare a prima classe di ciò che serve a guidare e dare un senso e una giustificazione all’uomo. Ciò che non abbandona mai il singolo è il pensiero, lo scrutare se stesso e il mondo, il mistero. Allora più che ottenere arbitrio sulle cose noi abbiamo bisogno di ottenere potere su noi stessi e sulle nostre menti, possibilmente sulle nostre anime poiché queste si espandono in un raggio assai più ampio nello spazio e nel tempo rispetto alla singola mente calata in una personalità singolare e presente.
La volontà di potenza è assolutamente umana nel senso di materialista, attinente alle cose e alla comunità dei soggetti, collegata ai bisogni fisiologici e narcisistici ed in quanto tale è infantile, precaria e poco precisa. Il desiderio di conoscenza invece è un’esigenza altresì umana ma superiore, dello spirito, ma non per questo meno pratica sul versante delle cose.
Invecchiare è orribile in ogni caso e rendersene conto è una cosa straziante.
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Meteo amore
Con l’amore, quando è vero, profondo, forte come un uragano, anche solamente sapere che ne possa tornare l’opportunità senza conoscerne l’esito finale, si è insensatamente felici. Nonostante i danni che farà, le cose che distruggerà. L’amore che ridà senso alla vita e a ciò che è stato fino a quel momento.
Ho sempre avvertito l’esigenza di innamorarmi perdutamente, altrimenti non era vivere. Anche durante la preadolescenza, erano vuoti i periodi senza una passione formidabile e completa, simili a quando si è disoccupati e i giorni scorrono lenti e invano. Avevo bisogno di farmi prendere dal turbine anche a costo di venirne fatto a pezzi. Alcuni tornado duravano poco, erano giovani fenomeni atmosferici. Altri non erano che cieli spenti o pomeriggi uggiosi o serate afose, utili per capire la diversità di quegli altri momenti.
So i nomi di tutte le donne di cui sono stato innamorato, li ricorderò sempre. Ripensare a loro, sentire che mi mancano, provarne nostalgia è continuare ad amarle. Rappresentano le vite che non ho vissuto perché ho cambiato percorso, decidendo e recidendo possibilità. Non le dimentico, a volte gioco con l’idea di cosa sarebbe potuto essere, senza cadere nel fatalismo. Il fatto che “non è stato” non significa che “non era possibile”. Omicidi di cuore. Se mi sono macchiato di quel delitto o se ne sono stato vittima non vuol dire che io meriti un ergastolo adesso. L’amore non finisce mai, tuttalpiù si svolge altrove, in altre dimensioni.
Intanto si aspetta che il cielo raccolga altre nubi, si condensino in pioggia ed elettricità, vortichino i venti, la pressione si abbassi o si alzi nei punti esatti, le distanze siano precise e la sorte faccia il resto: uragano, ciclone, tifone, tornado, cambiano i nomi ma se ne sei coinvolto l’effetto è sempre lo stesso: l’amore che ridà senso alla vita e a ciò che è stato fino a quel momento.
Mi andasse tutto bene – e tutto bene proprio non va – sentirei comunque la mancanza dell’amore. Imprevedibile come il meteo, ogni tanto ci indovina, quell’imponderabile amore.
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“Rimini lo sa”
Avrebbe voluto farlo piangere perché non ne sopportava il narcisismo ignorante. Desiderava colpirlo in faccia, su quel viso tondo dai capelli corti, scuri e radi, abbatterlo con un paio di pugni, anzi meglio una testata sul setto nasale e sentire il “crack” della cartilagine rompersi contro la propria fronte pulsante e abbronzata. Invece l’osservava parlare e teorizzare, pieno di vanagloria, convinto della propria intelligenza così bassa, fangosa, dove ogni tanto comparivano chiazze di coscienza sociale.
“Come fa a non rendersi conto d’essere un così grande coglione?”, chiedeva a se stesso continuando a guardare nella sua direzione, disteso sulla sdraio col parasole inclinato a fargli ombra fino alle labbra carnose e semischiuse, stupito di quanto quell’altro fosse ignaro e fiero mentre insisteva ogni mattina a fare proseliti riguardo la propria vita, la propria famiglia, i propri ricordi, la propria visione e la propria poetica sull’esistenza di cui peraltro nell’intimo era scontento.
“Perché mente così spudoratamente a se stesso?”, pensava mentre l’altro spiegava qualcosa, qualsiasi cosa, credendosi forse utile, magari necessario, chi lo sa, “Ti vedo, coglione, io lo so che sei un idiota. E so che tu sai che io so che sei un inutile idiota. Stai zitto e vai a tuffarti, oggi il mare è così bello, agitato, verde. Oggi l’acqua è perfetta per starci dentro e muoversi senza gravità, attivare i muscoli e uscire stanchi al sole, appagati. Stai zitto, ti prego, maledetto rincoglionito. Sei ridicolo, per Dio, pieno di frasi fatte e sintassi scontata che tu credi poetica! Basta, Cristo Santo, o dovrò davvero spaccarti il setto nasale con una testata. Non mi importa tu scriva per mestiere e sia anche impegnato in politica, io ti leggo dentro e so che sei parte di questa mediocrità attiva, sei un ipocrita e soprattutto sei un pigro. Già, sei pigro, perché ti accontenti di quel piccolo protagonismo social che ormai fa parte del tuo piccolo mondo e della tua routine, e non solo te lo fai bastare ma ti pare anche giusto. Però, dentro, nel profondo, lo sai di non valere nulla, eh? Sei anche brutto, amico, eh”, continuava a pensare e mandargli questo messaggio con le iridi verdi nascoste dietro i Rayban con la montatura tartarugata.
Il cielo coperto, nuvole basse e veloci. File di ombrelloni e lettini ancora vuoti a Rimini, a luglio.
“Non ti odio, però sei così stupido in maniera così banale che vorrei urlartelo in faccia e farti piangere, coglione. E vorrei chiuderti la bocca ogni mattina e portarti tra le onde, soprattutto quando il mare è agitato come oggi, che il mare sembra mare anche a Rimini, e farti nuotare a lungo, in silenzio davanti a tutto questo ammasso d’acqua salata che spinge, fino a farti capire che devi tacere e riflettere di più, più a lungo, più in profondità. Tu e quelli come te, inutili sciocchi e vanesi, senza poesia né stile, solo chiacchiere…”.
Lo vide terminare il discorso e voltarsi verso il mare. Sperò che quello, mentre lui aveva pensato così intensamente nella sua direzione, si fosse reso conto che era tempo di tuffarsi e lavarsi di dosso tutta quella spocchia da falso intellettuale, pisciasotto e provocatore ipocrita. Lo tenne d’occhio mentre quello si grattava un gomito ancora indeciso, sperando si decidesse a togliersi la maglietta e camminasse verso l’acqua. Lo avrebbe seguito, lo avrebbe apprezzato per aver capito e colto il suo messaggio silente. Ma l’altro rinunciò, decidendo di muoversi verso il bar, controllando le notifiche sul cellulare.
Aspettò deluso, disteso sul lettino con l’ombra fino a metà faccia, finché il tale non si avviò verso i bagni del lido.
“Te lo avevo chiesto perfavore”, disse a se stesso avvicinandosi alla porta semiaperta del cesso degli uomini mentre l’acqua dello sciacquone scorreva impetuosa.
Quando l’altro si voltò nella penombra delle mattonelle azzurre lui lo colpì con una testata sul setto nasale, essendosi prima tolto gli occhiali da sole che amava, e sentì il “crack” della cartilagine rompersi sotto la sua fronte calda e abbronzata. L’altro si portò le mani al volto senza capire, gli occhi pieni di lacrime, senza coscienza né spirito critico né stile. Lui uscì con calma dai bagni, indossò i Rayban e si incamminó respirando l’aria salmastra e salata di Rimini dirigendosi soddisfatto di sé, del proprio vero sé, verso il mare.
Il dolore che serve
Secondo un articolo di The Vision per il filosofo Byung Chul-Han ciò che impedisce alla nostra società di vivere un reale cambiamento nonostante la rapida evoluzione scientifica e tecnologica è l’algofobia, ossia la paura di soffrire. Eliminare il dolore da qualunque ambito sociale e personale, spinti anche dall’ossessione per la positività, porta infatti a una condizione di apatia e conformismo. Ma per cambiare davvero il mondo dobbiamo tornare a essere pronti a soffrire, recuperandone l’aspetto pubblico e la sua capacità di spingere i singoli individui a unirsi per delle battaglie che coinvolgano davvero la vita di tutti.
Però, secondo un’indagine di LEGO, effettuata nel 2019 in USA e UK su oltre 3 mila bambini tra gli 8 e i 12 anni, è emerso che l’aspirazione massima degli under 12 è diventare uno YouTuber. Ossia un lavoro che ti permette di raccontare quello che più ti appassiona e che si può fare quasi esclusivamente dalla propria cameretta. Youtube è stato inventato ‘solo’ 15 anni fa ma è riuscito a diventare il lavoro dei sogni delle nuove generazioni, la loro più grande aspirazione. Quale sarà il lavoro dei sogni dei bambini nel 2030? Lo sviluppatore di videogiochi? Il Tiktoker? Il broker di crypto?
Da piccolo volevo fare lo scrittore e il regista, perché così avrei potuto raccontare storie e metterle in scena davanti a un grande pubblico, perché – è vero – avrei potuto dare sfogo a una mia personale visione del mondo e avrei “giocato” con situazioni, persone, oggetti, esattamente come fa un bambino davanti al suo tavolo coi Lego. Ma sentivo che quel tipo di professione avrebbe avuto anche un aspetto sociale, ossia una funzione diversa dal solo narcisismo ed egocentrismo infantile, e che avrei potuto essere d’aiuto e magari anche d’esempio per coloro che avrebbero letto i miei romanzi o visto i miei film. Magari avrei anche combattuto e sofferto pur di produrre la mia arte, insomma già consideravo una percentuale di “dolore” in quella che immaginavo sarebbe stata la mia carriera. E non mi importava, anzi, faceva intrinsecamente parte del piano perché ero stato educato anche a questo.
Ho 41 anni, ho accumulato diverse esperienze, dal mondo legale fino ai set cinematografici, passando da tv, web e blog. Ogni volta che mi propongo per un nuovo progetto ( video, romanzo, format… ) cerco di spiegare quanto l’aver sofferto e sudato mi abbia fatto crescere come essere umano amplificando la mia capacità empatica e creativa. Ogni volta la risposta è: “Sì, ma quanti follower hai?”.
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Dialoghi di Corallo
“L’amore mi si offrì ed io mi ritrassi dal suo inganno, il dolore bussò alla mia porta e io ebbi paura, l’ambizione mi chiamò ma io temetti gli imprevisti. Malgrado tutto avevo fame di un significato nella Vita”.
– Fino a qui mi ci ritrovo, nella poesia intendo.
– Sette anni fa vivevamo ancora sul tetto di una casa a Barcellona.
– Me lo ricordo perfettamente.
– Ti aspettavi andasse così?
– No, ma temevo andasse com’è andata.
– Infatti.
– Ci abbiamo provato.
– Quindi?
– Ascolta come continua la poesia…
“E adesso so che bisogna alzare le vele e prendere i venti del destino, dovunque spingano la barca. Dare un senso alla vita può condurre alla follia ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio, è una barca che anela al mare eppure lo teme”.
– Di chi è?
– Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River.
– Perché la pubblichi?
– Tutti hanno bisogno di buona poesia. Lo dico sul serio: tutti.
– E ora?
– Cosa?
– Che accadrà?
– Ovviamente non lo so. So solo cosa non funziona per me e cosa invece mi appartiene. Il resto è perlopiù un mistero, come per chiunque.
– Già.
– Partecipare.
– Cosa?
– Partecipare alla vita nonostante tutto, ecco.
– Partecipare senza vincere?
– Vincere è bello ma, lo sai, non è sempre possibile. Già essere parte attiva di qualcosa è importante.
– Non è da te fingerti uno qualunque…
– Non sono uno qualunque, sono uno, comunque.
– Sai che accadranno altri eventi che non vorresti accadessero?
– Lo so ma partecipo lo stesso.
– Da dove ti viene questa mancanza di disperazione finale? Come fai a non impazzire e non mollare tutto? Come, anche se non ottieni ciò che vuoi, sapendo che la vita è orribile, che è più semplice morire che vivere, che l’umanità resta pur sempre un inferno contraddittorio e spesso ripugnante?!
– Partecipo alla buona poesia.
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Comunichiamo per sopravvivere, perché l’isolamento è una tra le più atroci torture. Cerchiamo connessioni anche quando sembra una gara o una lotta con la bava alla bocca tra bestie feroci.
Nessun essere umano è fatto per il silenzio o lo spazio vuoto. Tranne per un po’ di tempo, mentre ognuno si ascolta interiormente. Poi si torna indietro, tra le persone. Imperfette, certo, meschine e deplorevoli, sicuro, ma necessarie alla sopravvivenza.
Ciascuno si esprime e lo fa tramite qualsiasi mezzo che corrisponda al proprio sentire, anche il più abbietto.
Perché esista qualcuno che dialoghi tramite l’orrore anziché con la bellezza, potendo scegliere, è per certi aspetti un mistero, forse una malattia dell’anima o della società.
La grazia deve essere insegnata a tutti ma è più semplice governare chi ha bassi riferimenti etici ed estetici. Inoltre la bellezza costa molto e non possiamo quasi più permettercela. A parte la natura, che procede a essere avvenente da se’, la bellezza creata dagli esseri umani è faticosa e dispendiosa, inoltre non è più finalizzata all’elevazione delle anime ma solo al rientro economico. È merce che deve riconvertirsi in denaro, la bellezza di oggi.
Sarà così per qualche tempo ancora, mentre riformuleremo l’estasi altrove, lontano dallo sguardo mercificante del web e inizieremo anche a non condividerla più, perché saremo noi contro l’algoritmo che ce la vuole prendere e mettere in vendita prima che possiamo anche solo goderne. Diventeremo occultatori di bellezza, ladri di grazia, ribelli al servizio dell’armonia senza profitto.
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La sintesi tra tiktoker e pornostar è ormai compiuta. Profili e storie di persone che sorridono guardando in camera, ammiccando o facendo un balletto sexy su una musichetta ipnotica, dove poi fai “swipe up” e finisci su onlyf4ns per cui paghi con carta di credito un contenuto che sembra privato ma in realtà è libero per chiunque lo acquisti.
Non bastano più le piattaforme hard, perché è l’abbonamento che vince, ossia il netflix del porno.
Alcuni utenti sono aspiranti influencer, modellə non ancora porno, ma guardando in camera invitano comunque allo “swipe up” per venderti un contenuto. C’è un filone di personaggi che piangono durante le stories e poi dicono che sei vuoi consolarli puoi far loro dei regali, che poi pubblicano nelle stories seguenti citando il tuo nome. E c’è chi manda merce pur di comparire in 15 secondi di video, manco di persona, solo col nickname. Senza mai scopare. Anche il sesso è stato sostituito dall’oggetto.
– Io stasera esco, con un amico, a bere e mangiare fuori da qui.
Non giudico, osservo. Pornostar, tiktoker, instagrammer non sono il futuro, sono il presente. I milioni di utenti che pagano cash per video sono la realtà. Ridevamo dei giapponesi che compravano mutandine usate, non dovremmo più considerarli pazzi poiché loro rappresentano la normalità.
Ieri sera ho visto una prostituta dal benzinaio, erano quasi le 23. Era una puttana reale in mezzo alla strada poco prima del coprifuoco, mi è parso di tornare a una vita che credevo fosse estinta. Ho amato quella giovane donna fatta di carne e disperazione, pietà, orrore, perché era vera oltre il mio parabrezza, come era vero lo schifoso cliente di turno e il suo pappone.
Voglio vedere persone nel mondo e non voglio pagarle per ricevere video, semmai offro da bere e mangiare, ballare, viaggiare. E poi scopare.
Disdire abbonamenti è meglio che smettere di fumare, subito.
C’è gente che paga e manda roba tramite un corriere a gente che frigna su instagram per ricevere roba a casa e ringraziare nel video… Ma non siete matti, siete la normalità.
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Random #Pasolini 1
“Seri bisogna esserlo, non dirlo, e magari neanche sembrarlo!”
“In una società dove tutto è proibito, si può fare tutto: in una società dove è permesso qualcosa si può fare solo quel qualcosa”
“L’Italia non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla. Essa ha potuto esprimere solo quella rozza, ridicola, feroce destra che è stato il fascismo”
“Il nuovo fascismo non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo”
“Il potere ha avuto bisogno di un tipo diverso di suddito, che fosse prima di tutto un consumatore”
“Il potere è divenuto un potere consumistico, infinitamente più efficace nell’imporre la propria volontà che qualsiasi altro potere al mondo. La persuasione a seguire una concezione edonistica della vita ridicolizza ogni precedente sforzo autoritario di persuasione”
“L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, oggi, il fascismo”
“Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio «uomo» che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali”
“I nuovi valori consumistici prevedono infatti il laicismo, la tolleranza e l’edonismo più scatenato, tale da ridicolizzare risparmio, previdenza, rispettabilità, pudore, ritegno e insomma tutti i vecchi «buoni sentimenti»”
“La cultura piccolo borghese, almeno nella mia nazione, è qualcosa che porta sempre a delle corruzioni, a delle impurezze. Mentre un analfabeta, uno che abbia fatto i primi anni delle elementari, ha sempre una certa grazia che poi va perduta attraverso la cultura. E questa grazia poi si ritrova a un altissimo grado di cultura, ma la cultura media è sempre corruttrice”
“Il moralista dice di no agli altri, l’uomo morale solo a se stesso”
#nelsoncorallo #pierpaolopasolini #scrittura
Tutti i giorni sulla stampa culturale leggiamo recensioni di libri straordinari, sorprendenti, di esordi eccezionali. Sembra che quotidianamente la nostra editoria riesca a sfornare il libro dell’anno. Finita però la sfilza di aggettivi iperbolici, le sviolinate, gli incensamenti gratuiti, non ci rimane più niente. I libri più fortunati vincono qualche premio, vendono qualche migliaio di copie se va bene, i loro autori si guadagnano un paio di comparsate in tv e magari un posto al sole sui grandi quotidiani per pontificare sulla qualunque. Ma di romanzi generazionali, di libri che segnano un’epoca, che ne raccontano traumi e speranze, ossessioni e aspettative, neanche l’ombra. Noi stiamo cercando libri che attraversino i millenni (è ambizioso, sì) che squarcino il ventre dei secoli, che contengano anche solo un frammento dell’eternità, del gioco infinito del nostro essere nel mondo. Tutto ciò che è passeggero, transitorio ed evanescente non ci interessa, tutto ciò che non affonda verticalmente nella nostra tragica condizione di uomini e donne assegnati accidentalmente su questa sfera di roccia e acqua in un universo in perenne espansione nel nulla – non merita di essere pubblicato. Sogniamo librerie semi-vuote, premi e concorsi letterari aboliti, giornalisti culturali con il coltello tra i denti pronti a stroncare qualsiasi nuova uscita. Solo dal silenzio, dal mistero e dal terrore potrà nascere una buona letteratura. Fino ad allora siamo destinati a scambiare per letteratura l’intrattenimento, o a rifugiarci nei capolavori di epoche passate in cui si passavano le giornate a decidere se togliere o mettere una virgola.
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«La semplicità di cui parlo è quando i pensieri si chiarificano e divengono il nostro pensiero. È eleganza, che non a caso è un criterio di verità che si applica nella valutazione delle teorie scientifiche e, aggiungo, anche delle teorie esistenziali. La semplicità è mettere ordine nella propria vita. Bisogna lavorare per diventare semplici: non è semplice essere semplici» cit. #VitoMancuso
Finora ho impiegato gran parte delle mie energie fisiche e psichiche nel tentativo di sistemare il guazzabuglio che è sempre stata la mia esistenza familiare e privata. Un gomitolo intrecciato di vite in conflitto, storie personali, guerre di sangue ed emotività esasperate, trasferimenti dal sud al nord, affetti, nevrosi e tradizioni arcaiche. Mentre tutto diventava attuale e moderno nel mondo, io ero disperso nel mio passato e il tempo che dedicavo ad altro che non fosse faida era sempre poco, perlopiù rubato. Ma ho insistito, errore dopo errore, perché diventare pulito e semplice era ancora possibile. Perché altrimenti avrei continuato a vivere come un selvaggio o un criminale periferico, perdendo le rare occasioni di bellezza che comparivano sulla mia strada e che ero inadatto a trattare con la giusta cura, finché restavo simile a un me stesso troppo grezzo e incattivito.
Avrei potuto illudermi che la colpa non fosse mia, era una tentazione forte gettare la responsabilità solo sull’esistenza. Ma quando si sta a contatto con il sapere, l’arte e la propria coscienza come mi ostino a fare io, non si sfugge a lungo dalla verità. Quindi si pagano tutti i debiti e ogni singolo delitto, perché? Per tornare a essere innocenti e godere il bene, raro, che sta al mondo. Volontà di essere semplice, in ordine, per provare di nuovo piacere. Non si tratta di santità o abnegazione eroica, semmai è attrazione erotica verso il meglio della vita che non si può ottenere davvero finché si resta gretti o ignari.
L’esercizio del sapere è fatto per chi ha una coscienza e vuole succhiare il nettare, per chi vuole elevarsi, per chi ha grandi orizzonti.
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Il disprezzo necessario, cap. 2
L’amore esiste.
Nonostante le banalità, le pubblicità, i discorsi cinici durante gli aperitivi, l’amore resiste. È raro. Nella villa in cui passava la maggior parte delle giornate, in una routine evanescente, si muoveva tra le stanze semi vuote, il giardino in fiore, fumando e credendo di aver avuto l’occasione esatta e di averla lasciata andare. “L’amore esiste” pensava, “ma l’ho sprecato. Mi è toccato, mi ha toccato. Non ero pronto. Credevo tornasse, mi sbagliavo. L’amore esiste ma non per me. È crudele avere un’occasione sola in tutta una vita. È uno scherzo di cattivo gusto. L’esistenza sa essere sadica. Ma sono tutte paranoie, forse”.
Farsi domande è umano. Cercare di rispondersi è diabolico. Lo stava imparando, a quarant’anni.
“C’è un sacco di gente che fa ridere, riesce a risultare simpatica. Accumula pubblico. La ammiro. Non sono cinico, sono ironico. Non sono critico, sono un esegeta. Cos’altro? Non me lo ricordo”.
La stava aspettando. Credeva che con lei avrebbe potuto mettere a posto le cose, diventare concreto quindi realista. E avrebbe fatto in modo di non innamorarsi. Prima doveva risolvere la questione di avere un pubblico.
L’amore esiste e resiste.
Già detto? Sì.
Quando il dubbio mi striscia dentro fissandomi con gli occhi gialli e saturi di rimorso, appena la forza morale abbassa piegando le sue ali e sento la vertigine attirarmi verso il baratro più scuro, io mi blocco. E penso di non sapere nulla, a parte che l’amore è ancora la forza più potente dell’universo.
Allora bevo un whisky in meno e torno a osservare la vita, vedo quelli che si nascondono dietro il sarcasmo e il cinismo e dico tra me: “Avete bisogno d’amare. Fate un grande sforzo, gente. Dai, è necessario. Ne abbiamo bisogno tutti. A parte i soldi, siamo condannati ad amare. Meglio ammetterlo, così viene meglio anche il resto. Altrimenti ci ritroviamo vecchi e pieni di debiti d’affetto più che d’affitto. Abbassa quell’arma, fratello, oppure spara e renditi conto che non è quella la soluzione. Ripaga, vai a rubare come Lupin piuttosto, l’amore per il mondo”.
Non so nulla, a parte che l’amore è ancora la forza più potente dell’universo.
E voglio dirlo, che importa? Chi potrebbe dire il contrario? Chi? Chi potrebbe dire di preferire l’abbraccio radioattivo di un’esplosione di una bomba nucleare? Chi vorrebbe un bacio da un megatone di plutonio? Chi le carezze all’uranio impoverito? Chi?
Nessuno, esatto.
cap.1 “Il disprezzo necessario”
Non si parlava di lui ma di lei.
Capelli castani fulvi, riflessi autunnali. Si chiamava Sarah Siepi, lavorava come specialista nel marketing digitale. Nel suo mestiere muoveva file di numeri e algoritmi. Era capace di far convergere l’attenzione del pubblico verso prodotti messi in vetrine virtuali. Aveva la pelle bianca, occhi grandi e castani, mani piccole e indossava un profumo di spezie dolci.Il suo corpo era stato pieno. Di carne, grasso, adipe. Poi improvvisamente svuotato, dopo anni di rotondità. Si era sentita nuova, aveva perso la verginità a ventiquattro anni. Sui fianchi le era rimasta altra carne: tremula, non elastica. Addominoplastica, dodicimila euro e sofferenza fisica atroce per eliminarla. Non aveva speso quei soldi, non ancora. Adesso aveva ventotto anni.
Lui era in piedi nella cucina della villa che aveva preso in affitto. Costruita agli inizi del novecento, una torretta con vetrate colorate, stile belle epoque. Si erano incontrati mesi prima. Gliel’aveva presentata un uomo. Un dignitoso signore in pensione, giacca grigia, sguardo malizioso, “Parlaci – gli aveva detto – Magari poi ti piace, mi sembra una ragazza intelligente, preparata”.
Si trattava di lei ma era lui che aveva vinto una somma. Soldi, una cifra ingente. Avrebbe potuto smettere di lavorare per la tv, per chiunque. Ma si chiedeva se così avrebbe mantenuto un’identità, se a non fare altro che vivere si sarebbe sentito meglio o peggio.
“Un salvadanaio”, pensava a piedi scalzi passando nel soggiorno semi vuoto al piano terra. Luce del pomeriggio in entrata dalla bow window affacciata sul giardino.
Quartiere elegante di città, nascosto tra i palazzi, poco dietro ad una delle arterie più trafficate della metropoli.
“Se la gente vedesse cosa scrivo a parte quella merda, cioè i racconti. Quello che aveva vinto il secondo posto al concorso non era male. Ho bisogno di attenzione, serve un pubblico. È una questione di autorevolezza. Una volta che si accorgono di te, che hai un ruolo, sei autorizzato a parlare. Chi lo dice importa più di cosa dice”.
Sarah Siepi stava in piedi davanti al cancelletto di ferro. Cappotto di stoffa nera. La prima volta che lo aveva visto lui indossava una camicia azzurra.
Se una donna pensa a un uomo non è libera. Una donna non può avere come unico pensiero l’idea di un uomo. Sarah aveva un fidanzato, da anni, e diversi amanti, da qualche mese. Ma era libera dagli uomini. A momenti li disprezzava con voluttà.
Oggi avrebbero parlato, non sarebbe accaduto nient’altro che uno scambio d’informazioni. Ci sarebbero volute delle settimane per il primo amplesso in quella casa. La villa.
“C’è l’attenzione verso i due protagonisti adesso. Un’attesa. Ma non è un romanzo sentimentale. Si parla di fortuna. E del disprezzo necessario per vivere. È uno stile particolare, mi serve per andare avanti. Tra poco loro due si incontrano, si conoscono un po’ meglio. Lui ha dei dubbi ma vuole che lei lo aiuti a far convergere l’attenzione del pubblico sui suoi scritti. La può pagare. Lei invece è in quella fase in cui deve sedurlo per forza. Poi capirà il perché”.
Sarah suonò al citofono della villa. Sentì uno schiocco metallico e camminò lungo il vialetto di pietra verso l’entrata con le colonne doriche. Lui l’aspettava con addosso una tshirt bianca e il pantalone di una tuta amaranto. Non voleva sembrarle elegante.
“Non è un romanzo da quattro soldi. Non è roba commerciale nonostante le premesse. Ho bisogno di farli incontrare così. Poi la questione si sposta. È un maschile e un femminile che si attraggono e poi respingono. L’amore è ancora una forza che trasforma? Credo di sì, ma solo a un livello di consapevolezza altissimo. L’amore non è per gente superficiale. Ecco perché insisto col disprezzo. L’importante è andare avanti adesso”.
C’era un’aria di pretesa in quella stagione di inizio primavera. Le azioni avrebbero anteceduto molti pensieri dell’inverno. E poi negli anni avrebbero capito cos’era accaduto mentre erano lì, giustamente ignari di tutto il resto. L’esistenza è fatta di incontri e, solo dopo, di riflessioni su quanto è accaduto.
Lui voleva l’attenzione del pubblico ma non sapeva ancora cosa volesse comunicare. Lei voleva diventare ricca, forte e rispettata. In seguito le cose sarebbero cambiate.
Incipit “Il disprezzo necessario”
Incipit.
Potrei farvi leggere qualsiasi cosa, spingervi avanti senza fatica, quasi senza rendervene conto. Sono una scheggia quando voglio e se voglio.
Siete già dentro la storia. Mi è bastato andare a capo.
Ancora una volta.
Scrivere per la tv è sia prostituzione che bravura. Non ti dimentichi che esiste la cultura o la bellezza, solo non la contempli nel tuo lavoro, in ciò che fai per vivere, mangiare, pagare le bollette o le vacanze. Ti lamenti? No, è solo piangersi addosso. E la gente che frequenti? Superficialmente frivola ma non lo è. Soffre, ama, crede, lotta, spera esista un Dio o che altro capace di dare un senso profondo alle cose ma come te è costretta a vivere nella realtà. Tutti sognano, che ti credi?
Quinto o sesto capoverso.
Si innamorava intensamente e poi reprimeva ogni impulso dolciastro o piacevole per non diventare sciocco e vulnerabile. Cercava di far durare la sensazione di benessere ormonale il meno possibile, per il minor tempo possibile. Lasciava che le illusioni iniziali si sgretolassero nel giro di poche ore. Si diceva che l’entusiasmo fosse il peggior pericolo a cui potesse andare incontro.
Non credeva nelle critiche dei critici. Per troppo tempo aveva ascoltato i pareri di persone che ne sapevano sicuramente meno di lui. I critici sono artisti falliti. Ma aveva iniziato a dare retta ai consigli dei colleghi su come essere più diplomatico, insomma meno irruento quando diceva un “no”‘.
Il sole di quei giorni, al mattino, mandava raggi calmi e ancora bagnati d’inverno. Poi scaldavano a sufficienza perché le gemme iniziassero a ribollire sotto le scorze legnose. Alla sera tornava a far freddo.
“Posso essere una scheggia, se voglio e quando voglio”, si diceva.
Da qualche tempo, non sapeva come avesse iniziato, aveva preso a bere la notte. Fumava almeno dieci sigarette al giorno. E beveva whisky finché non finiva la bottiglia. Allora passava all’amaro. Sarebbe diventato alcolizzato? Aveva sempre giudicato male chi abusava dell’alcool. Ad esempio suo padre. Finiva bottiglie di grappa una dietro l’altra e prima beveva vino.
Faceva in modo che l’innamoramento durasse poco perché “quando una donna si innamora diventa pazza e quando si innamora un uomo diventa fesso”. Rifletteva su un possibile collegamento tra soffocare l’amore fin dai primi impulsi e il fatto di bere di più.
I suoi colleghi avevano comunque ragione: era necessario diventare più diplomatici, più propensi al compromesso nonostante l’ambiente di merda in cui tutti vivevano. Si diceva ogni giorno che chiunque al mondo possedeva una scheggia divina al proprio interno. E ci credeva, lo ripeteva guardando i raggi gialli e freschi del mattino, lo pensava vestendosi nella camera da letto. Poi usciva.
Poteva essere una scheggia a scrivere. Portare la gente dove voleva. Solo che non sempre voleva portare qualcuno da qualche parte. Lo stile è un fatto personale, l’importante è portare la gente sul fondo. Della storia o di se stessi.Lavorava per la tv ormai da anni. Non gli piaceva anche se ne godeva. Probabilmente era quello il suo vero mestiere. Ma doveva imparare a essere più diplomatico.
Ora che aveva piazzato qualche domanda nel lettore sul fatto che lui avesse un problema di alcolismo incipiente, un autolesionismo privato sul fatto di strozzare l’amore sul nascere, un brutto carattere riguardo i rapporti sociali e su come avrebbe risolto queste e altre questioni, poteva finire l’incipit.E tutti sarebbero arrivati fin qui.
Per ora.
Era una scheggia ma non sempre voleva portare qualcuno o qualcosa da qualche parte. Quando scriveva si firmava Nelson Corallo perché gli era parso un nome che evocava il mare e i pirati.”Andresti avanti a leggere? Sì, lo faresti, per ora è buono, è abbastanza buono”, si diceva.