Incipit “Il disprezzo necessario”

Incipit.

Potrei farvi leggere qualsiasi cosa, spingervi avanti senza fatica, quasi senza rendervene conto. Sono una scheggia quando voglio e se voglio.

Siete già dentro la storia. Mi è bastato andare a capo.

Ancora una volta.

Scrivere per la tv è sia prostituzione che bravura. Non ti dimentichi che esiste la cultura o la bellezza, solo non la contempli nel tuo lavoro, in ciò che fai per vivere, mangiare, pagare le bollette o le vacanze. Ti lamenti? No, è solo piangersi addosso. E la gente che frequenti? Superficialmente frivola ma non lo è. Soffre, ama, crede, lotta, spera esista un Dio o che altro capace di dare un senso profondo alle cose ma come te è costretta a vivere nella realtà. Tutti sognano, che ti credi?

Quinto o sesto capoverso.

Si innamorava intensamente e poi reprimeva ogni impulso dolciastro o piacevole per non diventare sciocco e vulnerabile. Cercava di far durare la sensazione di benessere ormonale il meno possibile, per il minor tempo possibile. Lasciava che le illusioni iniziali si sgretolassero nel giro di poche ore. Si diceva che l’entusiasmo fosse il peggior pericolo a cui potesse andare incontro.

Non credeva nelle critiche dei critici. Per troppo tempo aveva ascoltato i pareri di persone che ne sapevano sicuramente meno di lui. I critici sono artisti falliti. Ma aveva iniziato a dare retta ai consigli dei colleghi su come essere più diplomatico, insomma meno irruento quando diceva un “no”‘.

Il sole di quei giorni, al mattino, mandava raggi calmi e ancora bagnati d’inverno. Poi scaldavano a sufficienza perché le gemme iniziassero a ribollire sotto le scorze legnose. Alla sera tornava a far freddo.

“Posso essere una scheggia, se voglio e quando voglio”, si diceva.

Da qualche tempo, non sapeva come avesse iniziato, aveva preso a bere la notte. Fumava almeno dieci sigarette al giorno. E beveva whisky finché non finiva la bottiglia. Allora passava all’amaro. Sarebbe diventato alcolizzato? Aveva sempre giudicato male chi abusava dell’alcool. Ad esempio suo padre. Finiva bottiglie di grappa una dietro l’altra e prima beveva vino.

Faceva in modo che l’innamoramento durasse poco perché “quando una donna si innamora diventa pazza e quando si innamora un uomo diventa fesso”. Rifletteva su un possibile collegamento tra soffocare l’amore fin dai primi impulsi e il fatto di bere di più.

I suoi colleghi avevano comunque ragione: era necessario diventare più diplomatici, più propensi al compromesso nonostante l’ambiente di merda in cui tutti vivevano. Si diceva ogni giorno che chiunque al mondo possedeva una scheggia divina al proprio interno. E ci credeva, lo ripeteva guardando i raggi gialli e freschi del mattino, lo pensava vestendosi nella camera da letto. Poi usciva.

Poteva essere una scheggia a scrivere. Portare la gente dove voleva. Solo che non sempre voleva portare qualcuno da qualche parte. Lo stile è un fatto personale, l’importante è portare la gente sul fondo. Della storia o di se stessi.Lavorava per la tv ormai da anni. Non gli piaceva anche se ne godeva. Probabilmente era quello il suo vero mestiere. Ma doveva imparare a essere più diplomatico.

Ora che aveva piazzato qualche domanda nel lettore sul fatto che lui avesse un problema di alcolismo incipiente, un autolesionismo privato sul fatto di strozzare l’amore sul nascere, un brutto carattere riguardo i rapporti sociali e su come avrebbe risolto queste e altre questioni, poteva finire l’incipit.E tutti sarebbero arrivati fin qui.

Per ora.

Era una scheggia ma non sempre voleva portare qualcuno o qualcosa da qualche parte. Quando scriveva si firmava Nelson Corallo perché gli era parso un nome che evocava il mare e i pirati.”Andresti avanti a leggere? Sì, lo faresti, per ora è buono, è abbastanza buono”, si diceva.