Una seducente minaccia

“Nel momento in cui ci si domanda il significato e il valore della vita, si è malati.” Sigmund Freud

In questi giorni la temperatura all’esterno si misura col segno meno davanti. C’è la neve killer fuori. Ha già ucciso, per davvero, senza scherzi.In Italia appena una cosa va oltre il normale diventa killer. Non c’è mezza misura, tutto ciò che travalica il previsto, in Italia, uccide. C’è la neve killer, l’afa killer, la pioggia killer e l’influenza killer. Io, finora sono stato fortunato. Mi sono preso una febbre non-killer e adesso me ne sto avvolto in un paio di coperte masticando medicinali ogni 6/8 ore, lontano dal freddo bastardo. Cioè killer.La neve è bianca là fuori, i merli zampettano sul davanzale, li vedo da qui. Hanno occhi tondi, becco arancione, mentre scrivo all’amico M. che si è trasferito in Svezia. L’amico M. è uno di quelli che conosco da quando andavo al liceo, e ancora non capisco come cazzo abbia fatto a trasferirsi in Svezia. Un posto dove per sei mesi all’anno il sole manco lo vedi. E da figlio di meridionali, anche il solo pensiero mi fa soffrire. Infatti là in Svezia la gente tende a suicidarsi per la mancanza di sole, e comunque è tendenzialmente alcolizzata. Là c’è la depressione killer: aringhe, birra, notte perenne e neve. Anche se, in Svezia, le cose funzionano e ci sono le svedesi, che nell’immaginario collettivo maschile sono tutte bionde, gentili e bendisposte. Ma pure questa è una cazzata, perché le uniche svedesi bendisposte fanno i film porno all’estero e le altre sono femministe.Fatto sta che l’amico M. dice di trovarsi bene là.

Oggi mi ha scritto una email:

—Messaggio originale—->Da: M@libero.it>Data: 07/02/2012 15.07>A: nelson corallo>>Ogg: la biondina borghesuccia
Avendo letto l’ ultimo post del tuo blog, avrei voluto commentare la seguente cosa:”Il post mi e’ davvero piaciuto, ma l’attacco a Fabio Volo te lo potevi risparmiare, perché ti fa radical chic quanto la biondina borghesuccia. Fabio uno di noi. Saluti da tu sai chi”. Il problema é che non mi lascia introdurre commenti anonimi e non ho un ID pubblico che voglio associare ai miei commenti sui blog. Quindi non ho potuto inserire il commento. In sostituzione fatti valere questa email.
Sto andando a fare una visita medica.
M.
p.s. quando vieni a farti un giro in Svezia?

Mai.Non ci verrò mai, ci sono stato una volta e non ci torno più. Anche se l’idea di una visita medica in Svezia mi fa pensare ad atmosfere da film porno anni ’70. E visto che sono malaticcio e infreddolito mi viene più facile immedesimarmi nella fantasia erotica, immaginandomi su un lettino d’ospedale con un’infermierina sexy, bionda, col camice corto corto che mi guarda con gli occhi azzurri e maliziosi.Eppure il pensiero mi si blocca in testa, forse per colpa di questo freddo killer fuori dalla finestra che pare aspettarmi per farmi secco.Sono talmente nevrotico che non riesco a rilassarmi neanche quando sono costretto a farlo con l’alibi dell’influenza. E’ questo che mi frega ultimamente. Ci pensavo mentre l’aspirina frizzava nel mio bicchiere: sono riuscito a ottenere belle cose da questa esistenza, tra un inciampo e l’altro. E a volte ho avuto più di quanto potessi immaginare. Sarebbe stupido non ammetterlo. Mi sono conquistato un’identità, una voce. A volte sembra poco, ma non lo è. E’ anche vero che quello che possiedo è più simile a un cumulo d’esperienze su un curriculum vitae che non è ancora concluso, ma poco importa adesso, che c’è la crisi. La crisi che ci fotte di paura, più della neve killer. E io, fra molti, ho il culo un po’ più coperto di altri, quindi non posso frignare troppo.Però non riesco a stare sereno, nonostante le mie prospettive si siano aperte, io stesso sia maturato, ho comunque una paura sottile che mi scava nella testa. E mi porta a far pensieri malati. Come qualche giorno fa, prima che iniziasse a nevicare.Ero al supermercato, lo stesso discount dove ho ambientato un racconto-fumetto, e spingendo il carrello della spesa ho rivisto i miei personaggi muoversi tra gli scaffali: c’è sempre la cassiera col broncio, c’è la mamma musulmana col velo e gli occhi belli, i mocciosi che urlano, la donna isterica, varia umanità che acquista prodotti a basso costo a causa della crisi killer (vedi post “Nero Discount – Pugile alla salsa di soja”) ma per quanto quelle persone sembrino fumetti sono più immersi nella realtà del sottoscritto. Già, perché io sono un autore e finché la realtà non viene a prendermi dentro casa, io me ne viaggio dentro spazi paralleli, senza vergogna, deformando l’esistenza. E visto che quel giorno, insieme alle verdure in offerta, al discount vendevano anche dei fiori ho deciso di prenderne uno e portarlo al cimitero da mia nonna, Ines Corallo, che si è fatta seppellire qui a Milano e non a Salerno, per non darla vinta a chi la voleva vedere morta, così diceva lei.Il nostro cimitero è piccolo, vicino all’imbocco delle tangenziali Torino/Venezia, come un silenzioso avvertimento.C’era un bel sole quel giorno, un buon odore di legna bruciata nel vento. Lapidi di marmo luccicante. Prima di arrivare da mia nonna mi sono fermato davanti a un altare pieno di candele e ceri rossi, rosari e immagini di Madonne belle come i tatuaggi vintage sulle braccia dei marinai. Là sull’altare c’è un Cristo di legno, di un legno grezzo. E questo Cristo è esile. Il costato è scavato, con ferite aperte tra le costole. Sta là. Ripenso a quando da bambino non riuscivo proprio a guardare Jesus in chiesa, appeso in croce, che pareva trattenesse il respiro mostrando le costole. Mia sorella più piccola, quando eravamo mocciosi, faceva così, tratteneva il respiro e le si vedevano le costole. A me faceva ribrezzo. Ma questo Jesus di legno mi è più simpatico, anche se non capisco come si possa eleggere a simbolo religioso l’immagine più tragica, l’istante di dolore massimo della vita e della morte di chi ha portato al mondo la religione di cui è diventato Messia. Mi fa pensare a tutta l’ideologia cattolica del dolore a ogni costo, del senso di colpa imposto, della mortificazione come unico mezzo di redenzione. Non mi piace. Se penso a Buddha che se la ride beato, panciuto, sereno, tutto d’oro, spirituale, è facile dirmi che ogni marchio espone il suo prodotto. Ossia: buddismo uguale “rilassati”, cattolicesimo uguale “preoccupati”. 
Torno a guardare il povero Jesus che se ne sta tranquillo in croce. 
Per quanto io possa dirmi lontano dalla dittatura del Vaticano, ce l’ho nei geni tutta la faccenda della religione, del peccato, del catechismo. La mia fortuna è che ho avuto un’educazione più simile allo sciamanesimo, al culto dei morti, alla “superstizione” che viene dal sud arcaico, e che in parte mi salva dai dogmi di Santa Romana Chiesa. La mia religione “familiare” è la stessa che parla con gli oggetti, crede agli spiriti, alle magie, e rende eccitante l’idea di una suora che sotto la tonaca indossa un reggicalze, o spiare dal buco della serratura la scolaretta timorata che si tocca di nascosto, i tradimenti delle mogli che fingono di essere sante e sono puttane. Quel tipo di religione di provincia  talmente piena di divieti e proibizioni che rende il peccato più gustoso. Quella che vede nei passi delle donne, mentre vanno in chiesa, tutto il sapore degli orgasmi di cui chiedere perdono al prete accaldato. La mia religione teme i vivi e sente vicini i morti. La mia fede è contadina, si eccita col sacro perché sente più forte la vergogna del profano. Ha il sapore del proibito che arriva da anni di catechismo, processioni di statue di Santi sollevate sulle teste della folla, paura del Diavolo, devozione alla Madonna, disprezzo per il clero.E così, tra una visione di cosce e un pentimento, passo lungo i corridoi del cimitero dove stanno i loculi, uno sull’altro, uno a fianco all’altro. Anziane signore camminano a braccetto. Vecchi uomini passeggiano solitari. E un gruppetto di operai cimiteriali, di cui un paio nordafricani, parlano allegri, al sole. Stanno appoggiati al corrimano di metallo, sulla rampa per gli invalidi.Vado avanti. Arrivo da nonna. Lei mi guarda dalla foto ovale, pare che ride.

Di fianco a me un omino parlotta con un altro tizio che si sposta per fargli vedere lo schermo del cellulare che tiene in mano. Stanno tutti e due a 20 cm. da me, in pratica siamo là assieme e li sento dire cose del tipo:

“…perché c’è da scavare, buttare giù tutto e togliere le macerie” dice il tizio col cellulare.

“Eh già” risponde l’omino.

“Poi fai conto che tutta la parte delle tubature è da rifare” continua il tizio.

“Eh sì, è giusto” ammette l’omino.

“Perché per fare ‘ste cose qua è meglio buttare giù tutto e rifare da capo. Se vuoi farlo bene, è così!” sentenzia il tizio. 

“Vero, è vero” contrappunta l’omino.

“Perciò, con lo sconto sono 850 €. invece che 1.200” dice il tizio, sottolineando la parola sconto (leggi: senza fattura).

“Eh” rimane sospeso l’omino.

“Uè, tieni presente che l’idraulico lo devi pagare” recupera il tizio.

“Eh sì, gli idraulici si fanno pagare!” conclude l’omino, accettando l’amara verità.

Cazzo, gli idraulici si fanno pagare. Non c’è niente da fare. E’ così adesso e così sarà sempre. Amen.Eccoli qua gli uomini che vanno in chiesa, si tolgono anche il cappello, lasciano l’offerta, i signori perbene, i timorati di Dio. I signori che parlano dei lavori di ristrutturazione delle loro case tra i loculi del cimitero. Sono “quelli che benpensano” di cui parlava Frankie Hi Energie, sono gli stessi che vanno con le puttane di colore in Comasina. E vanno con le negre proprio perché son cattolici convinti, e quando peccano lo fanno con convinzione, quindi scelgono la donna nera, il mistero notturno a pagamento. E se potessero andrebbero con una suora, nera, con il reggicalze sotto la tonaca. Lo so che gusto ci proverebbero. Un ateo non potrà mai immaginarlo quel gusto. 
Brava gente che lavora, lo dico davvero.E io vorrei essere più simile a loro, a volte. Invece che costruirmi dubbi sull’esistenza dovrei passare il tempo a fare calcoli su quanto converrebbe buttare giù un muro o piuttosto rifare tutte le tubature da capo. Senza stare a preoccuparmi del senso delle cose.Mentre provo a immedesimarmi nell’uomo della strada, gli operai che prima ridevano al sole si sono fatti seri, passando lungo il corridoio. Un rumore basso li accompagna. Mi giro e vedo sfilare una bella bara di legno pregiato, ricoperta di rose rosse. Centinaia di rose rosse che splendono al sole. Uno spettacolo inaspettato. Non potevo immaginare tante rose rosse tutte insieme su una bara di legno. Ci rimango a bocca aperta. Intanto scorre la processione di gente che accompagna il defunto. Era da tanto che non vedevo una bara. Il tizio e l’omino dei lavori di ristrutturazione si sono allontanati, adesso osservano la scena in silenzio. Anche nonna Corallo osserva, col distacco di chi ci è già passato. Dopo il primo stupore penso che, per quanto fosse bella quella bara luccicante nel sole, fosse pur sempre una bara. Perché una cassa da morto la puoi decorare quanto vuoi ma il contenuto resta sempre lo stesso: un cadavere che si avvia alla putrefazione.Mi è bastato questo quadretto di realtà inattesa per ritornare ai dubbi esistenziali. Checcazzo, invece che bere aperitivi nei bar, con la verità ben stretta in tasca, o scrivere post su facebook contro tutte le ingiustizie del mondo, aizzando il popolo all’indignazione, sono sempre qui a fare filosofie demenziali. E visto che non riesco a fare altro, mi sono detto che quello che mi spaventa di più, ultimamente, è quella sottile incertezza per cui – senza rendertene conto, nonostante gli sforzi – tutto quello che fai è destinato a finire chiuso in una cassa. Senza illusioni messe lì a decorare il contenuto. E mi ci incazzo anche solo per averci pensato ma è più forte di me. Rapporti umani, giorni di lavoro, parole, scritti, entusiasmi e amplessi, tutti insieme, tutti chiusi in un’urna. La cosa più assurda è che fino a ieri mi lamentavo della mia condizione di stallo, di mancanza di lavoro, di prospettive, di finalità, ed oggi che queste cose ce le ho (precarie, ma ce le ho) non mi bastano già più. Allora prenderei a schiaffi me stesso e queste teorie crepuscolari. Vorrei sdoppiarmi per prendermi la faccia e sbatterla davanti alle cose e dire “Guarda, brutto coglione! Guarda! Stai sempre a lamentarti, a piangerti addosso mentre dovresti ringraziare!”. Ma non ci riesco. Ci sono giorni che vincono loro, i peggiori nemici, peggio della neve, dell’afa e della pioggia messe insieme: i pensieri killer. Giudaporco! 

Neanche al cimitero trovo pace. Ho fatto tanto di quel bordello per rosicchiare un posto nel mondo e poi non mi ricordo più il perché… forse perché ho visto troppi film di Woody Allen. E li ho capiti, è questo il dramma. E quell’ebreo, vai a guardare, si è arricchito  prendendo costantemente di mira la propria religione e la società americana, recitando la parte dell’eterno insoddisfatto. In effetti non posso dare la colpa neanche a lui per le mie seghe mentali, ma allora a chi? 
E’ che vivere – certe volte – diventa più facile quando c’è qualcosa che ti costringe a farlo, fosse anche la necessità, il bisogno, la fame. Lo so che è impopolare quel che dico, impopolare quanto la svastica nazista, ma in fondo è vero. Nel senso che, dopo tante lotte per conquistare una libertà d’essere e di pensare, alla fine ti accorgi di aver allargato il perimetro dei tuoi confini, ma di non averli annullati. Allora tutto è una semi-libertà. Vivere, a volte, è come stare chiuso tra quattro muri. Gli stessi quattro muri che ti stavano stretti il giorno prima e che provavi ad allargare spingendoli con le braccia, come un carcerato in una cella d’isolamento. Poi succede che, a forza di appoggiartici contro, quei muri cedono, si allontanano. Allora tu respiri, dici che ce l’hai fatta. Però nel frattempo anche il pavimento è diventato lontano e sottile, si è ristretto, e tu ci stai a malapena in equilibrio. E’ come camminare su una corda sospesa nel nulla, ma in mezzo a quattro muri. All’improvviso è come se tu fossi un saltimbanco chiuso in una scatola. Cammini sulla fune e i muri ti seguono, e se allargando le braccia provi a toccare le pareti, ci riesci a stento. E sono le pareti che tu stesso hai spinto via, per sentirti meno costretto, ossessionato, ma adesso le rivorresti indietro, per appoggiartici e poi dare la colpa a loro se ti soffocano. Quando penso a queste cose mi sento pazzo, divento pazzo.A livello di auto-critica mi dico che è fin troppo facile la metafora delle quattro mura rappresentative della famiglia oppressiva da cui si è vigliaccamente dipendenti, dell’amore adolescenziale che vorresti lasciare ma che ti mette orrore perdere, delle false convinzioni, dei tradimenti degli amici, dell’odio della gente infame a cui sorridi, dei ricatti del denaro da cui dipendi, di tutte quelle cose che detesti ma che in fondo ti tengono sù. Cercare la libertà nell’esistenza, la vera libertà, significa allargare i propri confini fino agli estremi, abbandonando ogni idea prestampata, rischiando la vita come prezzo. Altrimenti ci si accontenta, e ci tocca viaggiare sospesi in una bara ricoperta di rose rosse, dove nel mezzo, tra il legno scuro, il velluto, i petali odorosi e la luce del sole, c’è la vita che si paga in quotidiana rabbia. E per quanto possa apparire ampio il ritaglio di spazio che ci siamo fatti, si sta pur sempre in equilibrio tra quattro assi. Qualsiasi lavoro tu faccia, qualsiasi esistenza tu creda di stare vivendo, qualunque religione tu voglia professare, alla fine la libertà resta un’illusione. E’ una cazzo di verità. Come gli idraulici: quelli si fanno pagare. Non ci sono altre storie. Come non c’è storia che tu, come me adesso, non senta ogni giorno l’ansia di stare vivendo senza saperne in fondo il perché.Saluto nonna Corallo, per oggi ho farneticato abbastanza. Rido di me stesso e penso che mentre la gente si ammazza tutti i giorni per provare a campare io mi faccio ‘sti viaggi psichedelici nei cimiteri. Ma in buona parte me ne fotto, perché sono davvero fatti miei, e di chi semmai li vuol stare a sentire.Così come adesso che sono a casa, con l’influenza, e scrivo un post sul blog. Controllo la posta elettronica. L’amico M. della Svezia mi ha scritto un’altra email.


—Messaggio originale—->Da: M@libero.it>Data: 07/02/2012 19.20>A: nelson corallo>>Ogg: visita medica
Sono ancora confuso e vi é una ragione.
Oggi mi son preso un dito nel culo. Sì. Senza olio (ma con un altro lubrificante). Da una praticante dottoressina svedesina.
Un dito nel culo.
Sono stato sottoposto alla mia prima ispezione della prostata e promosso.
Un dito nel culo. 
La dottoressina non mi ha fatto male, ma ho provato un brivido d’ imbarazzo.
Come vedi, tu che ti lamenti sempre che la gente pensa sempre ai “cazzi suoi”, non significa solo che è egoista ma sottintende anche cose impegnative. Avessi avuto un blog come te ci avrei scritto un ironico post. Invece mi limito a mandarti un’email vecchio stampo. “Tradizionalista con lo smartphone”, stai pensando. Ecco che ricominci con le tue lamentele da fighetta primadonna, mentre la gente si prende dita nel culo.
M.


Cacchio. Mi immagino la scena: una sexy infermiera, bionda, occhi azzurri, ti accoglie nello studio medico. Ti chiede di spogliarti e tu lo fai, speranzoso. Sei là, viaggi con la fantasia, immagini scene hard come le hai sempre viste nella mente. Torni a guardare l’infermiera, aspetti un suo cenno di malizia. Lei ti sorride, ti fa cenno d’avvicinarti. In sottofondo una musica funky anni ’70.I suo i occhi brillano e poi ti ficca un dito in culo.Porco cazzo.Forse ho trovato la metafora che stavo cercando, quella che spiega la mia ansia di vivere, la mia incapacità di essere sereno con me stesso e con gli altri.La vita non è una corda su cui stare in equilibrio tra quattro muri, e neanche una bara ricoperta di fiori.La vita è un’infermiera sexy. La vita è una bella donna vogliosa, che indossa abiti che promettono candore e sicurezza.La vita ti strizza l’occhio e fa promesse di piaceri infiniti.La vita, mentre annuncia lussuria, indossa un guanto di lattice e, sorridendoti, minaccia di ficcarti un dito in culo. E tu sei là, indeciso su accettare o meno, pieno di voglie e speranze. La vita è una seducente minaccia. Questa è la vita, adesso, per me.

Nelson Corallo*

martedì 7 febbraio 2012