Io sono niente

Io sono niente.
Io vivo, mi muovo, mangio, parlo, mi lavo, mi vesto, invecchio, penso e faccio scelte, ma resto niente.
Io vivo nel mio mondo, in questo tempo, in questa realtà, con tutte le contraddizioni dell’epoca in cui sono arrivato, e sono comunque niente.
Io percepisco, intuisco e mi lascio fluire, allora sono tutto. Divento tutto. Non decido, agisco e vado dove devo, quindi sono giusto.
Bisogna crearsi tanto silenzio dentro per arrivare a sentire il necessario.
Io non sono niente e sono tutto ciò che devo.
Silenzio, ritmo, forza.
Non è vero che la vita è vuota, non è vero che manca un senso, non è vero che vincono solo il materialismo e la morte, però è vero che siamo attaccati da ogni sorta di distrazione, dentro e fuori. Ed è una tentazione quasi irresistibile lasciarsi condurre dal desiderio di protagonismo e arroganza, perché è meglio della droga sentirsi importanti. Crea più assuefazione.
Ma no.
Vivo e faccio il necessario. Lo dovrebbero fare tutti. Lo faccio e arrivo a essere ciò che devo, dove devo. Il sangue pulsa più denso, l’ansia scivola altrove, il senso delle cose migliora.
Si sviluppa una voce interiore, è limpida e pulita, sa dove devo mirare e nonostante il dolore eseguo. Mi sento triste solo quando non le permetto di parlare, nei momenti in cui mi perdo appresso a quell’io che crede di essere me stesso e invece è solo il riflesso di ciò che lui crede che gli altri pensino di lui. È l’io che fa comparazioni, sente invidia, pretende, distrugge, desidera il male di chi non sopporta, di chi è imbecille, di chi è narcisista (perché anche lui lo è), di chi ottiene successo grazie ai mediocri e alla mediocrità dell’ambito in cui l’ottiene, è un io a cui ho dato un nome, la maschera che indosso nel mondo quando il mondo mi delude: è Nelson Corallo, buon anno figli di putt*na.

Ancora una volta “Fight Club” in tv

Ancora una volta “Fight Club” in tv, seconda serata, divano e sigarette. Bel film tratto da un grande romanzo, aveva ragione su tutto ma non ha cambiato il mondo. Mi chiedo quale sia l’illusione più grande dell’epoca che sto vivendo. La pretesa di sapere tutto? Il protagonismo che ha superato i 15 minuti di notorietà previsti da Andy Warhol? La possibilità di una società davvero democratica? La certezza di un’Apocalisse? Su cosa crediamo di stare lavorando per poi accorgerci che era un’illusione bella e buona? Sapendolo potrei almeno tentare di smontarla.
Togliendomi di dosso la maggior parte delle responsabilità da piccolo borghese ho potuto fare ciò che ho fatto della mia vita, personale e lavorativa. Non ho accettato un tipo di carriera, non mi sono sposato, non ho fatto figli, non ho acceso mutui. Poi le responsabilità mi hanno raggiunto lo stesso ma ho goduto a fare come mi pareva, segretamente aspettandomi una soluzione finale, una ricompensa al mio dissenso. Era un’ottima illusione.
Sono ancora qui, sul divano, un po’ insonne, un po’ arrabbiato, un po’ speranzoso. Vorrei uno scopo, uno qualunque adesso, per non sentire la mia inutile presenza al mondo. Ecco perché ogni volta aspetto una chiamata da fuori, un segno esterno. A forza di seminare vento, oggi, dovrei raccogliere la proverbiale tempesta. Nulla.
Per il resto desidero donne che non ho e maltratto quelle che ho. Un tempo contestavo le madri che dicevano alle loro figlie “lascialo perdere, è un inutile narcisista”, ora do loro ragione. È un fatto di correttezza essere sufficientemente sincero, tanto non mi danno ascolto in ogni caso. Le donne che volevo mi avrebbero fatto fare un’altra vita, non questa di certo, perciò è proprio questa che volevo, inutile piangermi addosso. Ho ancora testosterone a quanto pare. Quindi me la prendo con la vita e con nessun altro. Me la prendo con me stesso perché non mi spremo abbastanza e non trovo soluzioni utili. È colpa mia se sopravvivo male in questa società di merda, a sua volta piena di colpe. Ma le mie sono mie e basta. Ho trattato le donne che non ho amato esattamente come la vita tratta ora me, mi pare equo. Solo che le donne da me possono prendere le distanze, sposare un altro, accendere mutui, farci figli – ne ho già viste diverse incinte e fa impressione – mentre io non posso prendere le distanze dalla vita. E nemmeno da me stesso.
Cercando un’occupazione stabile accetto di essere un consumatore, un anti rivoluzionario, un bisognoso qualsiasi che semmai potrà dedicarsi alle riflessioni nel poco tempo libero che gli resta.
In “Fight Club” c’è un piano ben preciso per far crollare la società, instaurare l’anarchia e puntare verso un mondo nuovo senza consumismo né ipocrisia, Tyler Darden sogna metropoli invase dalla natura e uomini e donne vestiti di pelli mentre essiccano carne di cervo al sole. Ma il suo vero se stesso gli impedisce la rivoluzione e trova l’amore in Marla Singer. Crollano i palazzi ma si capisce che quei due metteranno su famiglia, presumibilmente in un mondo non troppo diverso.
Le donne di sessantanni iniziano a guardarmi con la stessa golosità con cui io fisso le ventenni. Sono ancora una volta in un’epoca di mezzo. A volte mi illudo che qualcosa possa cambiare addirittura per me, per quanto penso che ciò che è stato finora è esattamente ciò sarà sempre, per me. Un uomo non lo cambi. Nessun riscatto per chi ha giocato a dadi con la vita, solo una straziante attesa mentre altre donne si allontanano e restano incinte. Me lo merito, non c’è che dire.
Prima si scriveva convinti di avere una possibilità nell’editoria, per sconvolgere qualche ipotesi, destare scalpore, creare traumi, oggi si scrive perché lo fanno tutti, e quelli che verranno pubblicati lo si è deciso prima poiché vendono già sulla carta. Ironico. Anche il cinema si è sgonfiato nel suo potere immaginifico. Cosa riesce ancora a stupirci?
Nulla.
O forse, e questo è un mio pensiero, la cosa che riesce ancora a stupirci è la complessità di un ragionamento, ossia la capacità della mente umana di raggiungere limiti e superarli, andare oltre l’ovvio, il già detto, il già visto e sentito. L’intelligenza, il genio, ecco, il nostro nuovo Messia, ciò che bramiamo, una mente eccelsa che arrivi prima del meteorite che dovrebbe spazzarci via. Dovrebbe, forse, non lo so.

Volontà di conoscenza

Crescendo si tende a farsi meno promesse, la forza di volontà che è tipica degli esseri umani gradatamente si stempera fino a ridursi a piccole speranze, grandi accettazioni, rassegnazione sulla vita e sul mondo, lasciando giusto un po’ di spazio per se stessi e la propria anima. Invecchiare è sinonimo di diplomazia, tranne nei vecchi bastardi.
Ormoni e vitalità fanno la differenza.
Diventando anziano mi avvicino, al contempo, ad uno stato animale e spirituale dell’essere. Tutto si riduce ad assecondare le possibilità che la vita offre, senza rabbia né caparbietà in eccesso. Dicevo che mi faccio meno promesse, meno propositi, meno pretese etc etc. Scendo sempre più in me, nel mio universo, scruto mondi poco frequentati dove vigono altre regole ed esiste più libertà di restare o andarsene.
La forza di volontà che interviene sul mondo e lo piega è affascinante. È uno dei desideri più grandi degli uomini. La volontà di potenza però non è eterna ma solo biologica, allora non si può elevare a prima classe di ciò che serve a guidare e dare un senso e una giustificazione all’uomo. Ciò che non abbandona mai il singolo è il pensiero, lo scrutare se stesso e il mondo, il mistero. Allora più che ottenere arbitrio sulle cose noi abbiamo bisogno di ottenere potere su noi stessi e sulle nostre menti, possibilmente sulle nostre anime poiché queste si espandono in un raggio assai più ampio nello spazio e nel tempo rispetto alla singola mente calata in una personalità singolare e presente.
La volontà di potenza è assolutamente umana nel senso di materialista, attinente alle cose e alla comunità dei soggetti, collegata ai bisogni fisiologici e narcisistici ed in quanto tale è infantile, precaria e poco precisa. Il desiderio di conoscenza invece è un’esigenza altresì umana ma superiore, dello spirito, ma non per questo meno pratica sul versante delle cose.
Invecchiare è orribile in ogni caso e rendersene conto è una cosa straziante.

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La ragione di tutti

#Burioni è come la #Murgia, si mette dalla parte del giusto e poi sbraita per sentirsi migliore di tutti, a tal punto che la ragione diventa così antipatica che gli daresti torto. Vaccinarsi è un diritto e un dovere civico ma se leggi cosa e come scrive lui quasi ti passa la voglia. Così come il femminismo è un movimento sacrosanto nella nostra società iper maschilista ma quando pontifica la sarda torneresti al medioevo. Perché c’è una vertigine narcisista anche in coloro che sono intelligenti, sicuramente istruiti, per cui si sentono in diritto di urlare in faccia agli svantaggiati quanto grande sia la loro conoscenza senza accorgersi che diventa controproducente. Oppure se ne accorgono e opportunisticamente vanno avanti così, perchè gli procura un utile maggiore.

La vignetta del ragazzo ucciso a #Voghera, ad esempio, è stucchevole. L’assessore leghista è sicuramente un assassino volontario, uno sceriffo mentecatto che è uscito di casa per ammazzare. Ciò non toglie che la vittima fosse un personaggio problematico che doveva essere gestito dalla società anche con misure coercitive, poiché pericoloso per se stesso e per gli altri. E seppure fosse stato un mostro non doveva però essere fulminato in strada come un cane. Non disegnamolo come un martire tutto-cuore altrimenti la vertigine narcisista per cui le nostre vittime sono tutte buone diventa pietismo. Nessuno deve essere giustiziato, nemmeno un pedofilo acclarato.
Era successo anche con #CarloGiuliani, chi lo dipingeva con l’estintore in mano stile terrorista e chi glielo toglieva come un angelo caduto. No, era un ragazzo che lottava per una causa in piazza ed è caduto lottando: non era né buono né cattivo, era umano e credeva in qualcosa mentre uno Stato spingeva con altrettanta violenza per la sua repressione.

Eppure l’esigenza di fare del mondo un teatro dualista di buoni e cattivi è irresistibile per coloro che devono avvantaggiarsi dell’algoritmo. Ecco, quelli io li giudico non solo sciocchi ma dannosi. È da tempo che tentiamo di costruire una narrazione corretta affinché risolva dubbi e risulti accogliente per chiunque ma chi ricopre un ruolo di minimo potere pubblico cede alla gratificazione di se stesso. Solo Tlon e Michele Rech #zerocalcare attualmente provano a stare super partes, con gran fatica direi, e pur prendendo posizione tentano di spiegare la complessità degli eventi senza cedere alla ragione univoca. Ovunque altrove, invece, vedo bandierine.

Bisogna disegnare situazioni e soggetti anche con la loro follia e ciononostante cercare giustizia e non giustizialismo. Perché esistono valori fondamentali e intoccabili che qualcuno tutela mentre qualcun altro calpesta o sfrutta a suo unico vantaggio, ed è qui che si capisce davvero l’intenzione di chi agisce, è in questo punto cruciale che si può discernere il bene dal male. La vera intelligenza si eleva, non si scinde. La vera analisi dei fatti procede per indagine e non con la sola emotività. Se domani ammazzassero me, per esempio, vorrei si dicesse che ero un genio ma anche uno con un brutto carattere, perché sarebbe la sacrosanta verità.

Il disprezzo necessario, cap. 3

In questo tempo, dove io e tutti gli altri viviamo pieni d’incertezza, il successo non viene più dal potere. Né imperatori, né re, né principi o principesse. Essere imprenditore di successo è il successo. Oppure ottenere una vasta popolarità mediatica è il successo. Ora, in Italia e nel mondo, una giovane donna possiede entrambe le cose ma cosa vende esattamente? Non voglio una risposta, è solo una premessa retorica.


Il tempo è tornato a portare nuvole grigie e fresche negli ultimi giorni. Il verde è brillante di linfa.


La felicità è avere amici, affetti, un senso di giustizia nell’aver fatto le cose nella maniera migliore. La felicità è essere consci di aver agito bene. Togliamo gli affari e la popolarità, uno alla fine si chiede: “Ho fatto la scelta giusta?”. Secondo me dovrebbe domandarselo ogni sera. Eliminiamo tutto, anche il presente attuale nel quale ognuno si trova, buono o cattivo che sia, e chiediamo: “Come ho agito oggi?”.
Ecco la domanda fondamentale.
Per quanto riguarda me, ho fatto perlopiù errori e poche cose giuste. Pochine, soprattutto in ciò che era utile alla carriera. Ho avuto una libertà viziata e ignorante, perché ho avuto poco sapere, quindi poca libertà. Il sapere assomiglia alla libertà, non sapere è una condanna a una forma di destino.
“Ma oggi, adesso, ho agito bene? Ho fatto il possibile e nel modo migliore? Ho studiato abbastanza? Oppure manca qualcosa che io abbia considerato?”.


È quarant’anni che mi sento in difetto, nonostante abbia capito che è tutto così transitorio eppure eterno al contempo, che la vita di per sé è sempre giusta ma noi no, non lo siamo, non sempre. Noi cerchiamo, tentiamo, vogliamo e sbagliamo. Tranne chi ha fiuto, chi conosce ed ha fortuna. Singolarmente ognuno scruta in se stesso e controlla se ha fatto il possibile per ottenere il suo successo. Oppure guarda fuori e trova all’esterno tutto ciò che è necessario detestare oppure credere di amare per distrarsi dall’esame di coscienza.
La via di mezzo è ancora una volta la più corretta.
“Nelle cose che accadranno, avrò il giusto spirito critico”, ma vorrei anche provocarle le «cose» anziché aspettarle e basta. Un uomo vuole anche creare e sentirsi dire “Ben fatto”, dico io, “Non si può smettere di desiderare”.
Pensare è necessario nel senso di vitale. Riflettere è un obbligo. Si può solo scegliere se farlo meglio o peggio, a meno che non si sia uno di quelli a cui le cose vanno abbastanza bene e l’affanno sia sempre poco. I benestanti, quelli che però non devono sostenere il peso di un grande successo, vivono pensando poco e fluttuano in una esistenza gradevole dove non sono mai i protagonisti. Loro conoscono la perversione e la noia. Chi è povero o sfortunato, a meno che non molli il colpo e si abbandoni alla bruttezza più brutale, è costretto a riflettere ogni giorno per ottenere qualcosa di più. Per quelli a cui non girano le cose essere protagonisti diventa un obbligo, essendo loro al centro costante della propria esistenza.
“Ho conosciuto un sacco di gente capace, sveglia, arrivista al punto giusto, concreta. Ci ho vissuto in mezzo. Sono belli e fortunati, mi piacciono ma non gli assomiglio abbastanza. Anche loro hanno aspirazioni di successo ma mangiano e bevono meglio degli altri. E fingono anche meglio degli altri nel dissimulare una insoddisfazione. Loro stanno in mezzo alle cose, come i cortigiani. Di loro si leggono parole, si ascoltano canzoni, si osservano immagini, e di loro si imitano i modi. Mediocrità bellissima”.
Se io avessi successo sarebbe un paradosso. O forse sarei infelice o semplicemente un mediocre.


“Lei non la amo e non l’ho mai amata. È da anni che ripenso a quell’altra con cui ho sbagliato e vorrei tornasse sotto forma di un’altra ancora, nuova, con cui fare le cose giuste stavolta”.
La felicità è aver capito esattamente come e quando fare la cosa giusta, per Dio.